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Immagine del redattoreMarcello

1917 – Un film in due parti: la prima dedicata ai cinefili, la seconda per gli appassionati de

Il nuovo film di Sam Mendes si caratterizza per essere diviso nettamente in due parti.

Nella prima i due protagonisti Schofield (Geoge Mackay) e Blake (Dean-Charles Chapman) partono per la loro missione “impossibile” che comporta l’attraversamento dei campi nemici. Con loro – grazie a lente, lunghissime, splendide riprese in soggettiva – passiamo dalle claustrofobiche trincee al surreale paesaggio dei campi di battaglia.  Questo è uno scenario astratto in cui i protagonisti avanzano lentamente.

Niente è quello che sembra: le dune sono pile di cadaveri, i passaggi sono trappole minate e la stessa ritirata del nemico è una grande imboscata.La ricostruzione delle trincee è impressionante per la precisione dei dettagli.

Ma è sicuramente la tensione dell’avanzata nel silenzio a creare un clima sospeso, a tratti irreale.

Il nemico non appare mai e la sua assenza caratterizza un paesaggio desertificato dai combattimenti e dalla distruzione della ritirata delle truppe tedesche.La violenza è percepita in modo indiretto.

Magnifico. Per i cinefili questa è gioia per gli occhi. Questa parte di film va vista e non può essere spiegata a parole. Poi la violenza riprende inaspettata ma fuori scena, non descritta, solo accennata quasi accidentale.

Apparentemente i due protagonisti soccombono.

Qui finisce la prima parte.

Quando uno dei due ragazzi si risveglia, invece, comincia un altro film.

Un film di azione tradizionale. L’eroe incontra e uccide il nemico; poi scappa tra le pallottole e le esplosioni; infine, si salva scivolando in un fiume dove raggiunge il reparto che deve essere fermato prima di un attacco inutile.

Finale epico e molto corretto politicamente.

Questa seconda parte di film piace a un pubblico abituato ai film di guerra tipo “Rambo”. Tuttavia ricorda anche molto i videogiochi dove l’azione viene vissuta in soggettiva dal singolo giocatore.

Quindi uno spocchioso cinefilo si annoia perché diventa facile prevedere lo sviluppo della storia. La morale – per forza di cose – è un po’ scontata, la conclusione piuttosto facile da immaginare. Se poi avete visto “Gli anni spezzati” (Gallipoli in originale) con il giovane Mel Gibson, avrete avuto la sensazione di aver già visto questo film.

Occorre aggiungere che la tradizione dei film sulla prima guerra mondiale (da “La grande guerra”, “Orizzonti di gloria”, “Uomini contro” o “la Grande illusione”) ci ha abituato a una riflessione sulla guerra intesa come una guerra di classe che si è combattuta nelle trincee (con l’unica eccezione della “Storia del tenente York”).

La prima guerra mondiale dove la vita dei soldati è stata trattata come un “prodotto industriale” a prescindere da qualsiasi valore cavalleresco. Riflessione che può trasformarsi in indignazione o in rabbia. Ma riflessione sempre a favore del pacifismo.

Questa prospettiva di sapore politico è del tutto assente dalla produzione americana di questo film. Pertanto, all’uscita, rimane in bocca il sapore agrodolce di aver assaporato qualcosa di bello per troppo poco tempo.

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