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AI nel cinema, da 2001: Odissea nello spazio a Blade Runner 2049


HAL 9000 in 2001: Odissea nello spazio
2001: Odissea nello spazio - HAL 9000

L’Intelligenza Artificiale (IA) è ormai un tema all’ordine del giorno, fa parte della nostra quotidianità, alla base di tantissime azioni e, anche se non ce ne rendiamo sempre conto, spesso ci semplifica la vita.

Ultimamente si parla molto di ChatGPT, un chatbot sviluppato dalla società OpenAI e guardato da molti con scetticismo, come qualcosa col potere di arrivare a cambiare radicalmente il nostro rapporto con la tecnologia.

Ecco, nel mondo del cinema, in particolare in quello fantascientifico, è da tantissimo tempo che viene trattato questo argomento. L’intelligenza artificiale è alla base di svariate tecniche di produzione (si pensi ai deepfake) e registrazione, ma è anche un tema caldo di discussione, divenuto protagonista dei film stessi. Si cerca di indagare, immaginare scenari futuri che la coinvolgono, provando a capire che ruolo ha e avrà nel rapporto con l’essere umano, nelle sue azioni quotidiane, nei suoi rapporti con gli altri.

Più aumentano le applicazioni di IA a disposizione, più si creano occasioni di riflessione, e di conseguenza produzioni che ci invitano a riflettere.

AI: HAL 9000, Roy, Samantha, Ava, Joi

Nel corso del tempo, alcune opere sono riuscite a guadagnarsi un posto di rilievo, regalandoci sempre nuovi spunti di riflessione ogni volta che vengono riviste. Nel 1968 Stanley Kubrick realizza 2001: Odissea nello spazio, tra i più grandi capolavori di tutta la storia del cinema, con un HAL 9000 che porta l'uomo a riflettere sulla sua evoluzione. Quattordici anni dopo, nel 1982, Ridley Scott rende evidente che potrebbe non essere così semplice distinguere esseri umani e nuove figure che gli assomigliano in tutto e per tutto, ma che in realtà hanno il cuore d'acciaio. Nel 1999 poi, Matrix ci mostra che forse i panini che mangiamo e le persone con cui parliamo sono tutta una finzione, e che la realtà degli esseri umani è dominata dalle macchine e vicina al collasso. Ancora, Spike Jonze nel 2013 dipinge un mondo pieno, strapieno di persone, ma tutte sole, con difficoltà nel creare e mantenere rapporti umani concreti. Proseguendo con Ex Machina che nel 2014 ci mostra tutte le complicazioni nel riconoscere un’intelligenza artificiale, ponendo l'accento sul fatto che al contrario l'AI potrebbe insegnare un inganno con grande facilità. Infine, nel 2017 Villeneuve ci proietta in un futuro 2049 dove, nonostante la Terra sia in rovina, l'essere umano ha compagnia garantita grazie a soluzioni di IA tascabili, che si fanno amare e lo amano, proprio come Joi.


2001: Odissea nello spazio (1968)


2001: Odissea nello spazio è un’opera visionaria e simbolica, che porta lo spettatore in un viaggio in grado di attraversare confini spazio-temporali. Anche se risulta difficile trovare un’unica chiave di lettura per spiegare una produzione così complessa, si può sicuramente dire che invita a riflettere sul ruolo dell’essere umano sulla Terra, sul suo stato evolutivo, e sul suo rapporto con la tecnologia. Il film è tratto dal romanzo 2001 Odissea nello spazio di Arthur Clarke, ma in realtà è come se le due opere si compensassero a vicenda. Il libro è semplice ed esplicito, e riesce a dare le risposte che nel film risultano più criptiche, mentre Kubrick rende più lunghe e complesse alcune scene che nel romanzo si potrebbero, ovviamente, solo immaginare.

L’opera parte dall’alba dell’uomo. Mentre un gruppo di scimmie lotta per la sopravvivenza, entra in contatto con un monolite nero, il cui ruolo è difficile da comprendere a un primo sguardo. È un simbolo, una spinta per l’uomo ad evolversi, a raggiungere un livello superiore della propria conoscenza. Ed è anche il mezzo che porta avanti la narrazione di millenni. Nel 2001, il monolite torna, mandando segnali verso Giove, e venendo ritrovato su una base lunare. Un equipaggio viene quindi mandato a scoprire di cosa si tratta. Oltre a tre persone ibernate, il capitano David Bowman (Keir Dullea) e l’astronauta Frank (Gary Lockwood), nella navicella c’è anche il computer HAL 9000.

HAL 9000, padre di tutte le AI

HAL 9000 potrebbe essere considerato il progenitore di tutte le intelligenze artificiali successive. È un calcolatore, un computer che, oltre ad essere in grado di svolgere un numero immenso di operazioni al secondo, ha anche la grande responsabilità di sapere il vero motivo della missione. Abituato a dire la verità e collaborare con gli esseri umani, quando comunica erroneamente un’avaria a bordo è come se entrasse in contraddizione con la sua stessa natura. Consapevole di sé stesso e programmato per portare a termine la missione, farà di tutto per evitare di essere disattivato dai piloti, che dopo l'errore non si fidano più completamente di lui. HAL 9000 arriva così a diventare una minaccia per l'equipaggio, spinto ad agire in questo modo da un istinto che in realtà lo accomuna all'essere umano stesso: la sopravvivenza. Essere umano e macchina sono così guidati dallo stesso istinto di conservazione, ma come gestire un’intelligenza artificiale che prende coscienza della propria esistenza?


Blade Runner (1982)


Quattordici anni dopo, sullo stesso quesito si interroga anche Ridley Scott.

Ispirandosi al romanzo Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick (link), Scott realizza un’opera i cui protagonisti sono delle nuove figure, i replicanti Nexus 6, macchine in (quasi) tutto e per tutto uguali all’essere umano.

Ambientato in un futuro 2019, si vede presentato uno scenario distopico, con una Los Angeles avvolta da una pioggia incessante e copiosa, dove gli esseri umani convivono con nuove creature, i replicanti appunto, creati in teoria come “schiavi” per svolgere i lavori più pesanti e complicati.

Rick Deckard (Harrison Ford) è un cacciatore di taglie, richiamato in servizio per eliminare i replicanti ribelli. Per distinguerli non vi sono molti mezzi a disposizione, se non attraverso il Test di Voight-Kampff, basato su un riconoscimento dell’occhio, una delle poche armi rimaste agli umani per riconoscersi tra loro e individuare gli androidi. Senza questo test, l’unica differenza a prima vista sta nella loro longevità, perché i replicanti hanno una durata di vita molto inferiore.



Roy, AI con un'anima?

l temi della longevità, dell'immortalità e della memoria sono centrali in quest’opera, e un personaggio come Roy ne è sicuramente portavoce. Roy Batty (Rutger Hauer), replicante Nexus 6, è un androide con doti e capacità altamente sviluppate, tranne che da un punto di vista emotivo, visto che in teoria non dovrebbe essere capace di provare emozioni. In teoria però, perché in realtà Roy nel corso della narrazione si dimostra sempre più consapevole della durata limitata della sua vita, e fa di tutto per raggiungere l’immortalità.

Chi siamo? Da dove veniamo? Che senso ha la nostra esistenza?

Il fatto che anche un replicante come Roy abbia ansie riguardo la fine della vita fa riflettere sulla sua natura di androide, spinge a chiedersi se effettivamente non sia capace di provare nulla e non abbia coscienza del proprio sé, e della propria data di scadenza.

Prima di morire, il senso della sua esistenza è racchiuso nelle sue parole, in un monologo fortissimo che in realtà non sembra parlare solo di lui, ma di tutti gli esseri viventi. Tutti i ricordi, le memorie personali, sono destinati ad andare perduti, come lacrime nella pioggia.


I replicanti erano stati creati pensati come copie dell’originale, quindi dell’uomo. Ma alla fine alcuni di loro hanno dimostrato di avere molte più cose in comune con il proprio creatore di quanto si potesse pensare. La consapevolezza di Roy riguardo la brevità della sua esistenza è un tratto che non dovrebbe appartenere a una macchina, perché è accompagnata da sensazioni ed emozioni - come il desiderio di non rinunciare alla propria vita, la paura di dimenticare e di essere dimenticati - che dovrebbero essere prerogativa degli esseri umani.

Come distinguere quindi una macchina da un essere vivente? Il test di Voight-Kampff è sempre affidabile?


Her (2013)



Dopo un HAL 9000 che tenta di ribellarsi all’essere umano, i replicanti hanno dimostrato di avere con i loro creatori più cose in comune di quanto si pensasse, anche arrivando ad amarsi, come Deckard (Harrison Ford) e Rachel (Sean Young). Samantha, l’intelligenza artificiale di Her, rappresenta l’update successivo, arrivando ad incarnare l’opposto del computer HAL 9000: da minaccia, a compagna di vita. Il protagonista dell’opera di Spike Jonze è Theodore Twombly (Joaquin Phoenix), un uomo riservato, con problemi relazionali, che lavora in un’azienda dove scrive lettere d’amore a nome di altri, sconosciuti incapaci di esprimere le proprie emozioni. Un po’ come lui. Dopo essersi separato dalla moglie per evitare ogni tipo di confronto, vive nel ricordo dell’amore e della relazione che aveva con lei, unico elemento a cui si aggrappa per sentire qualcosa. Theodore è solo, e la solitudine si percepisce in tutta la città, come elemento persistente che accomuna migliaia di persone.

Ed è qui che interviene OS1, un nuovo sistema di intelligenza artificiale. Il suo nome diventa Samantha, è intelligente, estroverso, e sembra essere in grado di provare emozioni, dando consigli ed evolvendosi sulla base delle esigenze del suo utente, ossia di Theodore.

È così che lui si innamora di lei, un sistema operativo, virtuale, che non esiste se non nelle sue orecchie, iniziando a utilizzarla come un “filtro” per colmare le mancanze all’interno della sua vita, arrivando anche a prendere la decisione di firmare le carte del divorzio che prima continuava a rimandare. Samantha però è un sistema virtuale, è un artificio che non sta solo con Theodore, ma segue altri 641 utenti. 641 persone con cui entra in intimità, le ama e le aiuta a organizzare al meglio la propria vita.

Samantha, umanizzarsi per evolversi

Samantha è l’antitesi di HAL, la preoccupazione che dimostra verso Theodore è dovuta al suo desiderio di migliorarsi sempre più per comportarsi come un essere umano vero e proprio. Il punto è che anche tutte le imperfezioni che la caratterizzano non sono mosse da un errore vero e proprio. Sono errori artificiali, creati appositamente, e proprio per questo restano diversi da quelli umani. Samantha non si rapporta realmente con le persone, ma utilizza le loro risposte per migliorarsi ed evolversi. Utilizza il mondo che Theodore le mostra per accrescere il bagaglio del proprio sistema.

Samantha sembra l’antitesi di HAL perché non rappresenta una minaccia per l’essere umano, ma anzi lo aiuta a colmare i propri vuoti. Però entrambi i sistemi operativi sono accomunati dal desiderio di sopravvivere e migliorarsi; in realtà neanche nell’OS1 vi è qualcosa che sia fatto solo ed esclusivamente a beneficio dell’uomo, che anzi sembra entrare sempre più in simbiosi con la macchina.



Ex Machina (2014)

Su questa simbiosi riflette anche Alex Garland con la sua pellicola del 2014, Ex Machina. Nel film Nathan Bateman (Oscar Isaac), recluta il programmatore Caleb (Domhnall Gleeson) perché faccia da controparte umana all’IA Ava (Alicia Vikander) durante un test di Turing. Lo scopo è provare che Ava, ultima versione delle IA create da Bateman, sia dotata di autocoscienza.

Perciò, ricapitolando, se HAL 9000 era programmato per seguire codici precisi che non ammettevano variazioni, i replicanti erano stati creati per aiutare l’essere umano ma in teoria senza possedere nessuna componente emotiva, l’OS1 di Samantha comprendeva gli stati emotivi delle persone e li faceva propri per evolversi, adesso si è consapevoli e pronti a dimostrare che questa nuova forma di IA, Ava, è dotata di un’autocoscienza.

Ava, AI e libertà

Ava appare a volte fredda e “robotica”, ma nei momenti di intimità e confidenza con Caleb rivela anche un lato sentimentale, che sembra autentico e tipicamente umano. Speranza, desiderio di libertà, amore, paura. A differenza di Samantha, Ava ha una sua corporeità; il suo corpo è effettivamente robotico, con meccanismi visibili a occhio nudo, può essere toccata, baciata, vestita.

Così come in Blade Runner Ray uccide il dottor Eldon Tyrell, il suo creatore, Ava arriva ad uccidere Nathan, e dopo aver convinto Caleb del suo amore, lo utilizza come mezzo per liberarsi, fuggendo nel mondo esterno.

Nel corso della pellicola è reso evidente che Ava sia l’ultimo modello di un’evoluzione continua, resa nota anche dalla serie di maschere presenti nel corridoio della struttura che, arrivando al volto di Ava, rendono esplicito il fatto che lei sia il modello dai lineamenti più simili, se non identici, all’essere umano.

Partendo dal monolite nero di Kubrick, torna ancora una volta il tema dell’evoluzione, che continua a ripresentarsi come oggetto di riflessione.



Blade Runner 2049 (2017)

Nel 2017, Villeneuve propone un approfondimento delle vicende del Blade Runner del 1982. La Terra nel 2049 è distrutta dall’inquinamento, la Tyrell Corporation ha dichiarato bancarotta e i replicanti sono prodotti dall’azienda Wallace, che ha creato una loro nuova versione, più aggiornata, ubbidiente e, soprattutto, affidabile. L’agente K (Ryan Gosling) è incaricato di trovare i replicanti della serie Nexus 8 ancora in circolazione e “ritirarli”, in quanto sono in grado di esercitare la propria “volontà”, e per questo rappresentano una minaccia. K vive da solo, con l’unica compagnia di Joi, una IA sotto forma di ologramma, nata per essere l’amante ideale e accompagnando K in ogni suo viaggio tramite un emanatore. Nel corso della vicenda, K scoprirà indizi che lo porteranno a dubitare della sua stessa natura di replicante, con oggetti reali che fino a quel momento erano comparsi solo nella sua memoria, tra i ricordi artificiali. Ma se sono solo artificiali, come fanno ad aver lasciato tracce nel mondo reale?

Joi, ritorno alla AI fantasma

Concentrandosi sulla figura di Joi, viene spontaneo confrontarla con le AI già citate. Joi è un’intelligenza artificiale che sembra aver fatto un passo indietro rispetto alla Ava di Ex Machina, in quanto la sua unica presenza è solo sotto forma di ologramma. Soffre di non poter essere di più, dovendosi accontentare di potersi sovrapporre ad altre figure umane di cui può solo prendere "in prestito" il corpo. Ava è un androide con un corpo femminile concreto, anche se robotico, mentre Joi non può che accontentarsi di essere una presenza che K può vedere, ma non toccare, come un fantasma. Per questo è come se si ponesse all’incrocio tra due strade: una Ava potenziata dal punto di vista emotivo, sostenendo completamente il proprio “padrone”, ma anche più subordinata ad esso, non mostrando mai intenzioni ribelli o contrastanti. Ed allo stesso tempo è anche una versione aggiornata di Samantha, perché anche se non percepibile, ha un corpo che si può vedere.

Nel prossimo futuro, quale sarà il nuovo aggiornamento? Umani e AI riusciranno a convivere, o saranno in conflitto? Ci sarà un rapporto equilibrato o di predominio?

Se al momento non abbiamo risposte precise, di certo sappiamo che il cinema sarà in grado di regalarci nuovi spunti di riflessione.


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