Belle Epoque: perfetto per gli over-sixty, ottimo per i nostalgici. Gli altri si astengano.
- Marcello
- 25 mag 2022
- Tempo di lettura: 2 min
Se ricordate con nostalgia la vostra lettera 36 con il Typex per le correzioni, se il telefono per voi è solo un telefono e la tv è la televisione; se detestate facebook e non seguite i social network, se la sharing-economy vi sembra una buffonata…
allora questo film è per voi.
In realtà, sarebbe perfetto – come epoca – per il nostro redattore Fabio Tramontin.
La storia di Belle Epoque è semplice.
Un disegnatore che ha superato i sessant’anni è in crisi con il lavoro (che per lui significa usare matite e pennelli); è in crisi con la moglie (che si sente venti anni meno); è in crisi con la vita digitale che sente spersonificante e vuota (ben vissuta invece da suo figlio e dalle nuove generazioni).
Pertanto decide di ritornare nel 1974 grazie a una costosa ricostruzione teatrale in cui può rivivere – come in uno psicodramma – il primo mitico incontro con sua moglie.
Lui è un imbolsito Daniel Auteuil, lei una bellissima – e cattivissima- Fanny Ardant.

Dire che questo film è bello, certo, non è possibile.
La sceneggiatura risulta farraginosa, con i dialoghi stereotipati e tutti i possibili cliché sono snocciolati senza pietà; la realizzazione è teatrale sia nella recitazione, sia nell’ambientazione, rendendo pensante lo svolgimento della storia. Tuttavia, sono molti gli spunti interessanti che il film sfiora con quella leggerezza che solo i francesi sanno portare sugli schermi.
Il primo è proprio l’efficacia dello strumento dello psicodramma che consente ai personaggi di risolvere i loro nodi emozionali. Questo negli anni ‘70 non si conosceva proprio.
Poi il gioco di relazione tra tutti i protagonisti che si confonde cercando la verità dei sentimenti nella recita e nel teatro.
Per carità, un intreccio vecchio come il cucco, ma sempre intrigante.
I personaggi minori, per finire, sono divertenti e ben caratterizzati senza diventare macchiette.
Così, il gioco tra realtà e finzione alla fine è convincente e spaesante.
Nonostante tutto il possibile cinismo, mi sono lasciato prendere da questo film e mi sono identificato (chissà perché?) nella generazione “di carta” che rimane velocemente sempre più esclusa e perplessa dalla dimensione digitale.
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