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C’era una volta…a Hollywood. Un film lontano dall’universo “pulp” di T

Once Upon a Time… in Hollywood  Regia: Quentin Tarantino Interpreti: Leonardo DiCaprio, Brad Pitt, Margot Robbie, Al Pacino, Timothy Olyphant, Kurt Russell Durata: 2h e 15′

Di Fabio Tramontin

Alla fine (o quasi, siamo al film n° 9) Tarantino ha fatto un film sul cinema. Per raccontarlo, ha scelto un momento di grande cambiamento, la fine degli anni ’60: i suoi amati B-Movie vivono un momento di stanca, e non sono ancora arrivati registi e attori di nuova generazione. 

Rick Dalton (Leo Di Caprio) è un attore di genere, un “cattivo”, nella fase calante della carriera. E’ profondamente legato al suo stunt-man, Cliff Booth (Brad Pitt). Anche lui ormai fuori dal gioco, vivacchia come tuttofare al servizio di Dalton: guida la macchina, sistema l’antenna TV, gli fa compagnia nelle consuete serate di solitudine, quando si trovano entrambi davanti alla TV a rivivere le glorie passate. 

Insieme, affrontano l’inevitabile declino, interrotto temporaneamente dall’abile produttore Schwarz (Al Pacino) che riesce a fare avere a Dalton una scrittura in Italia, dove gli Spaghetti Western e i Polizieschi nelle Città Violente, sono all’apice della fortuna. 

Dopo qualche tentennamento, i due vanno, ma sono pochi mesi di illusione. Poco prima di tornare, sanno che è tutto finito, a cominciare dal loro sodalizio.  Ma, come spesso accade nella vita, un incontro casuale li rimetterà in gioco, lasciandoci con un finale aperto e non  senza speranza

Tarantino è un profondo conoscitore di cinema,  una passione maniacale. Ogni sua opera è una sfida per lo spettatore:  individuare citazioni, ricordare scene già viste, riconoscere una battuta presa in prestito. 

Ma soprattutto, per lui il cinema è lo strumento magico che può tutto:  rendere protagonista un massaggio ai piedi senza mostrarlo mai, così come  cambiare la storia della Seconda Guerra Mondiale. 

Con C’era una volta…, il cinema da “mezzo” si trasforma in “fine”, e le cose cambiano. Le citazioni, altre volte lasciate qua e là con il perfetto tempismo che tiene viva la mente dello spettatore, le citazioni, dicevamo,  diventano Il Film. Una lunghissima teoria di spezzoni di film e serie TV, magistralmente ricostruite in 16 mm con Dalton protagonista, riempiono la prima ora di proiezione, intercalandosi a scene realmente girate con tecniche e stile B-movie. Il set , le comparse, gli incontri fra attori al tramonto e piccole star emergenti, tutto racconta di quel cinema. E poi citazioni, autocitazioni, ammiccamenti, omaggi a registi del passato. 

Ma l’operazione di costruire un universo non è riuscita. Perché mancano alcuni dei temi chiave del cinema di Tarantino: sovvertire le regole del tempo, la seduzione del male, la violenza esplicita e reiterata, la catarsi. I dialoghi ipnotici. E poi le indimenticabili figure femminili, un vuoto che la scialba figura di  Sharon Tate (Margot Robbie)  non riesce colmare. Meglio Margaret Qualley, nei panni di una mirabolante Pussycat (una delle ragazze di Manson), in una breve apparizione fatta apposta per la ragazza che Spike Jonze ha reso protagonista nello  spot da lui girato per Kenzo (https://www.youtube.com/watch?v=ABz2m0olmPg ). Andatelo a vedere.

Bravi, ma non straordinari, gli attori, in parti costruite perfettamente su di loro.

Cosa allora rende questo film godibile (perché lo è realmente) ?  Sicuramente l’eccezionale ricostruzione della Hollywood di quegli anni: scenografie, costumi, la musica soprattutto. Non ho mai avuto il dubbio di trovarmi in California, nel 1969. 

E infine, le meravigliose corse in macchina per i boulevard, a qualsiasi ora del giorno e della notte, con la radio a tutto volume. E vedere dal finestrino una Hollywood che sta cambiando, i primi Hippy a fare l’autostop per destinazioni improbabili.

Ecco,  nel rombo dei motori che si mescola con le  note del rock, nel senso di libertà di quelle corse sfrenate, mi è sembrato di riconoscere l’autentico amore per la vita di Quentin Tarantino.

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