Il Paradiso probabilmente, un film che non mi convince
Premiato a Cannes, questo Paradiso girato e interpretato da Elia Suleiman, mi è sembrato molto “improbabile”.
A mio avviso si tratta di una pellicola che indicherei unicamente ai cinefili dalla tempra forte perché presenta alcuni meriti indubitabili:
film di un palestinese senza la retorica (o la crudezza) della realtà di questo popolo;
film girato con uno stile personale definito e con uno spirito ironico unico;
una fotografia impeccabile nel creare una realtà stilizzata, ma rappresentativa.
Tuttavia quest’opera non risolve alcune difficoltà che hanno reso la mia visione ”indigeribile”.
In primo luogo gli episodi ambientati in Palestina presentano diversi riferimenti culturali impliciti: riferimenti che non ho capito e che non saprei spiegare.
Cosa succede?
La scena iniziale, ad esempio, racconta la difficoltà di una processione religiosa ad entrare in una chiesa (suppongo che fosse una chiesa). A risolvere la situazione, interviene il prete stesso che farà sloggiare a sberloni gli occupanti del tempio (supponiamo che avvenga questo perché l’evento viene solo narrato da un audio fuoricampo). Un episodio simpatico, ma enigmatico: chi occupa la chiesa? perché? e cosa avrebbero dovuto fare? Tutto questo non viene spiegato e viene dato per scontato anche per chi cristiano maronita (?) non è.
La stessa difficoltà interpretativa non si nota per gli episodi in cui il regista racconta la sua Europa e i suoi Usa. Ma qui interviene un altro elemento pesantissimo: il ritmo.
Un ritmo inutilmente lento
La lentezza esasperante di tutto il film certo contribuisce a creare un clima surreale e astratto anche per episodi che potrebbero sfociare in momenti drammatici (la morte di un parente, l’intimidazione di un delinquente in metro). Ma è veramente necessaria tanta lentezza? In che modo contribuisce alla rappresentazione nel suo complesso?
Non saprei dire.
Ritmo che viene reso ancora più lento, se possibile, dalla costante presenza del regista sullo schermo. Disegnato come una sorta di Tati/Keaton moderno – cappello, sciarpa e occhiali – il viso di Elia Suleiman intervalla ogni scena rappresentata guardandoci dritto negli occhi.
Un Paradiso un po’ arido
Nessun dialogo, rarissime battute, un po’ di musica araba, ma – soprattutto – nessun sentimento di alcun genere. Scegliere di vedere un film interpretato da un osservatore distaccato, asettico e non coinvolto emotivamente, alla lunga mi ha stancato senza apprezzare di aver avuto qualcosa in cambio.
In questo Paradiso gli angeli sono asessuati: così sono tornato volentieri nel mio Purgatorio.
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