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“Joker” di Todd Phillips. Una dichiarazione d’amore al cinema di Scorsese. Belliss

Di Fabio Tramontin

La prima lunga sequenza del film si apre sull’immagine di Arthur Fleck, che si trucca allo specchio: è un clown, deve far ridere. E’ venuto al mondo per questo, gli ripete sempre la madre. Ma una lacrima di rimmel scende sulla guancia biancastra , e il sorriso si trasforma in una smorfia dolorosa. Con il suo strambo travestimento, Arthur affronta le strade di Gotham, una città che somiglia in modo sorprendente alla New York di Taxi Driver, e non è un caso. Affonda le radici proprio lì, nel cinema di Scorsese, la storia raccontata da Todd Phillips; e il regista dichiara senza mezzi termini il suo amore per i film del grande Martin, in particolare quelli a cavallo degli anni ’80.

Il suo Joker non è riconducibile al mondo dei Comics. Anzi, in qualche modo ne segna il distacco. Si ricollega invece ad un tema classico della letteratura e del cinema americani. Quello dell’uomo fragile: deriso, umiliato, e malmenato nello sfacelo della città che lo ignora. E allora si arma, dando inizio alla sua personale vendetta. Ma questa volta non è un’azione solitaria: scatena un movimento, una ribellione violenta . Di gente che si riconosce in lui, nella sua maschera, nella sua risata.

La storia del film è tutta qui. Tanto lontana dal mondo di Batman e così carica di vita autonoma, da far sospettare una operazione di marketing: aver inserito nel contesto milionario dei fumetti, una vicenda che non era, forse, nata per questo. Le allusioni a Gotham, e a Bruce Wayne sono talmente rare e fuori contesto, da risultare totalmente estranee alla vicenda.

E’ importante, tutto questo, nella economia del film ? Non più di tanto. Joker è bellissimo. Non per la vicenda, ripeto, già vista. Ma per la regia, per la fotografia (Laurence Sher) , e il montaggio (Jeff Groth) . E soprattutto per la straordinaria prova di Joaquin Phoenix, dimagrito di oltre 20 kg, senza il quale non avrebbe avuto vita una figura così fisicamente disperata anche nell’apparente trionfo.

La risata, elaborata dall’attore, è un miracolo. Arthur soffre di una sindrome che lo costringe a ridere quando non c’è motivo. Va in giro con un bigliettino che spiega la sua malattia, da mostrare alle persone che assistono esterrefatte alla esplosione della sua risata. Che è un insieme malattia, disperazione, scherno, rabbia, minaccia. Unico.

Gli altri attori gli fanno da contorno con grande sapienza, compreso De Niro, nella parte che richiama Re per una Notte. La colonna sonora è stata affidata al violoncellista islandese Hildur Guonadòttir, anche se il repertorio dei crooner anni ’50, ha un ruolo importante. Un pezzo in particolare: That’s Life, assurge ad autentico protagonista del film.

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