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La Sirenetta e gli altri live action: perché non ci convincono mai del tutto

Possiamo dire di aver finalmente metabolizzato la visione de La Sirenetta, e in generale il bilancio che ne facciamo è sostanzialmente positivo. Anche se restiamo un po' divisi tra la suggestione della ricreazione dei fondali e della popolazione marina e il dubbio su alcune modifiche e adattamenti apportati alla sceneggiatura.


Noi all'uscita del prossimo live action


Ad ogni modo, è ormai consuetudine, quando viene messo in lavorazione un nuovo live action Disney, attenderne l’uscita con entusiasmo, impazienza, e con una buona dose di nostalgia. E tuttavia, ogni volta alla fine del film rimaniamo un po' delusi. Non che non ci sia piaciuto, è più un “c’è qualcosa che non mi convince fino in fondo, ma non so bene cosa”. Insomma, ci aspettavamo "l’effetto wow" che ricordiamo dalle visioni degli originali di animazione e usciamo dalle sale con un “mah, si… carino”.


Noi dopo aver visto il live action


E perché invece ci aspettiamo sempre che ci piacciano?

Consideriamo che il nostro punto di vista è quello della generazione che ha vissuto nel pieno dell’infanzia il così detto Rinascimento Disney. Ovvero il contesto storico degli anni ‘90 (1989-1999) in cui i Walt Disney Animation Studios vissero una stagione di grandissima fortuna, ricevendo molti apprezzamenti sia dal pubblico che dalla critica, grazie a film che rappresentano alcuni dei principali oggetti di traduzione in live action: La Sirenetta (1989); Bianca e Bernie nella terra dei canguri (1990); La Bella E La Bestia (1991); Aladdin (1992); Il Re Leone (1994); Pocahontas (1995); Il Gobbo di Notre Dame (1996) e Hercules (1997), dei quali il rispettivo live action sembra prossimo alla lavorazione; Mulan (1998) e Tarzan (1999).


Perché ci aspettiamo sempre che i live-action ci piacciano?
Perché ci aspettiamo sempre che i live-action ci piacciano?

Il Rinascimento Disney: cosa ha reso indimenticabili i film di animazione degli anni ‘90

L'etimologia del termine “Rinascimento” è da attribuire a Jeffrey Katzenberg, all'epoca capo sezione cinematografica della Walt Disney Pictures, che definì quel preciso arco storico, appunto, un "rinascimento", dovuto soprattutto al lavoro dei nuovi animatori e sceneggiatori. Si intervenne principalmente ad una revisione dello storytelling, sperimentando nuove tecniche di narrazione che da un lato guardavano al musical come forma di ispirazione, inserendo nelle pellicole momenti musicali di forte intrattenimento; dall’altro, si rifacevano più marcatamente alla struttura narrativa del “viaggio dell’eroe”. (Per avere un'idea di questo nuovo processo creativo guarda il making of de La Sirenetta, 1989)


La teorizzazione di questa struttura narrativa trae le sue origini dagli studi di Joseph Campbell (1904- 1987), saggista e storico dei miti e delle religioni statunitense, che nel suo L’eroe dai mille volti spiega come nei miti fondativi di culture seppure lontane e diverse fra loro si potevano rintracciare le stesse strutture narrative, il cui carattere di universalità ne conferma la capacità di empatizzare con il lettore e farlo emozionare. Studiando ed utilizzando queste strutture universali è possibile quindi replicare e far rivivere quelle sensazioni ancestrali che fanno muovere e commuovere gli esseri umani.


Partendo dagli studi di Campbell, lo sceneggiatore statunitense Christopher Volger (1949) arriverà a mettere a punto lo schema narrativo vero e proprio nel suo The Writer's Journey: Mythic Structure For Writers (1992), pubblicato in Italia come Il viaggio dell’eroe. Secondo questo schema ogni storia può essere interpretata come un viaggio compiuto dal protagonista, in particolare un viaggio interiore che lo porta a crescere e cambiare durante l’arco narrativo. E proprio Volger fu uno dei protagonisti del Rinascimento Disney, lavorando come consulente per le sceneggiature di film come La Sirenetta e La Bella e la Bestia, e prendendo parte in prima persona alla stesura della sceneggiatura de Il Re Leone.


Il viaggio dell'eroe
Il viaggio dell'eroe

La trasposizione in live action e la "rottura della magia"


Sicuramente, quindi, il fatto di avere delle aspettative molto alte nei confronti dei live action è dovuto in parte al forte legame emotivo che ci lega alle pellicole originali, grazie all’utilizzo più o meno marcato di specifiche tecniche narrative e alla caratterizzazione di protagonisti, “eroi”, con tratti distintivi che li rendono figure fortemente empatizzanti. Il risultato è la generazione di un potente storytelling, che suscita un ricordo esperienziale positivo e nostalgico, amplificato dalla sensibilità dell’infanzia, momento in cui li abbiamo vissuti.


Il fatto di trasporre questa materia in un’altra opera, ovvero in qualcosa di diverso da un punto di vista prettamente editoriale, se pure più o meno simile, rompe inevitabilmente il legame che si era creato con l’originale. Quindi, laddove Aladdin o La Bella e la Bestia tutto sommato funzionano perché riproducono abbastanza fedelmente gli originali, La Sirenetta, in cui la sceneggiatura subisce interventi più marcati, ci lascia più sospettosi.

(Per approfondire il tema delle traduzioni/trasposizioni consigliamo il saggio di Umberto Eco Dire quasi la stessa cosa.)


E la tecnologia? Davvero migliora l’esperienza di un film?

Un secondo motivo per cui i live action non ci convincono del tutto risiede forse nel tacito assunto per cui l’introduzione di effetti speciali digitali e l’utilizzo di tecnologie avanzate possano solo rendere ancora più spettacolare una storia che già ci aveva convinto in versione originale animata.

Spoiler: non è sempre così.


La possibilità di far interagire attori reali con personaggi o luoghi digitalizzati offre sicuramente grandi opportunità di spettacolarizzazione. Ad ogni modo, se in film che nascono già predisposti per l’utilizzo di queste tecniche l’effetto è senz’altro sorprendente, laddove si instaura un confronto con un precedente non digitale, non è detto che la nuova versione abbia la meglio: da esiti più felici come la ricostruzione dei fondali marini ne La Sirenetta (comunque, un po' di luce non stava male...), a tentativi migliorabili, per esempio tutti quei casi in cui si digitalizzano animali parlanti che risultano di fatto vagamente inquietanti, un esempio su tutti ne Il Re Leone. Comunque, in entrambi i casi si ha sempre un po' l’impressione che si perda una parte dell’energia, della spontaneità e della fluidità degli originali animati.


Una scena dal live-action de Il Re Leone
Una scena dal live-action de Il Re Leone

Cruella: l’unico live-action che ci convince (e che vi consigliamo di recuperare)

Non tutti i live action hanno però la stessa struttura che riproduce, più o meno, fedelmente gli originali. In alcuni casi la scelta a monte è quella di inserirsi nel non detto, in quegli spazi della narrazione per cui non avevamo già informazioni, e che offrono quindi l’opportunità di creare una storia che si propone come qualcosa di nuovo e complementare, a partire da alcuni elementi caratterizzanti dell’originale.


Cruella (2021): l'unico live action che ci convince
Cruella (2021): l'unico live action che ci convince

Un filone che si rifà al fortunatissimo Hook di Spielberg (1991), un cult del cinema anni ’90, e che trova realizzazione in Maleficent (2014); Ritorno al bosco dei 100 acri (2018); o il più recente, e brillante, Cruella (2021), uscito un po' in sordina a causa delle restrizioni del primo anno post pandemia, ma che vi consigliamo senz’altro di recuperare per almeno cinque buoni motivi. (disponibile per l'acquisto o il noleggio su Amazon Prime)

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Marcello! è una testata giornalistica dedicata ai veri cinefili. A tutti coloro che amano il buio della sala cinematografica, l'odore dei pop-corn e la magia del grande schermo. Insomma, a tutti coloro che non riuscirebbero a vivere senza la settima arte.   

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