Manodopera: una storia d'amore verso le proprie origini
L'animazione in stop motion è un mondo tutto da scoprire: dai film di Tim Burton e di Wes Anderson, a quelli della Laika Entertainment e della Aardman Animations, questa singolare tecnica d'animazione ha conquistato una fitta schiera di fan in tutto il mondo, generando pellicole capaci di diventare classici istantanei. A rubare la scena quest'anno è il film Manodopera (2022), del regista francese Alain Ughetto, che sceglie di ripercorrere le radici della propria italianità raccontando la storia dei suoi nonni, contadini piemontesi le cui vite hanno attraversato le pagine più cupe del XX secolo.
Benvenuti a Ughettera!
La vicenda del film ha luogo in Piemonte, a Ughettera, un villaggio ai piedi del Monviso, dove vivono gli Ughetto, una famiglia di poveri contadini che affronta con dedizione e dignità il proprio misero lavoro. Il '900 è appena iniziato e nel corso del tempo, gli Ughetto, costretti a ripetute migrazioni a causa del clima rigido e del verificarsi continuo di guerre, carestie e mancanza di lavoro, troveranno in Francia la propria seconda casa, un luogo in cui ricominciare ogni volta daccapo la propria esistenza, finché il sorgere del fascismo, e l'avvento della seconda guerra mondiale, non decreteranno per sempre il loro destino di cittadini francesi.
Una tenera storia di lavoro e sacrificio
Alain Ughetto ci conduce per mano in un'intensa e commovente storia delle proprie origini. Fin da subito vediamo le sue mani possenti muovere le marionette animate del film. Lo vediamo interagire con i suoi personaggi, mentre dialoga con loro e si fa illustrare da sua nonna Cesira tutto il percorso della sua vita: dal matrimonio con suo nonno, Luigi, alla nascita dei loro figli; dalla guerra in Libia, allo scoppio della prima guerra mondiale; dal fascismo al secondo conflitto mondiale, in un susseguirsi di vicende sfortunate e di numerosi momenti di tristezza. Ma a vincere sopra tutto questo, e che rimane come insegnamento, è la forza del sacrificio e del duro lavoro, che ripaga sempre, e quello a cui si assiste è un ritratto tenero e dolce di una famiglia in perenne esilio, che da ogni avversità sa sempre rialzarsi, accontentandosi di poco e godendo di esso il più possibile, convinta che il lavoro sia l'elemento chiave del quotidiano e che da esso dipende anche la propria felicità.
Un messaggio universale
Quello che Alain Ughetto ha tessuto è un racconto limpido e lineare, semplice e diretto, un modo per lui di riallacciare i legami con chi lo ha preceduto, raccontando una profonda storia d'amore verso la tradizione e la storia italiana, con i suoi pregi e difetti, ma sopratutto una storia di una famiglia, la sua famiglia, legata da un unico filo a due territori non poi così diversi. Italiani o francesi non importa:"Noi siamo figli della nostra infanzia", dice saggiamente Cesira, e Ughetto è qui per ricordarci che le storie di sacrificio, di povertà e di amore non hanno nessuna bandiera, ma assumono tutte un carattere di tipo universale.
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