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CritiCult: Oldboy

Spesso si dice che la vendetta è un piatto che va servito freddo, o che la ricetta migliore sia un buon “occhio per occhio, dente per dente”. Nel 2003, Park Chan-wook ci ha mostrato che è vero, la vendetta è un piatto, ma che necessita di una cottura molto lenta, da servire in 15 anni.

Dae-su durante la prigionia che sorride
Oldboy - Dae-su sorride in isolamento

Vent’anni fa questo regista ha regalato al cinema sudcoreano e al mondo intero una perla unica nel suo genere, un’opera capace di tenere lo spettatore col fiato sospeso fino alla fine, tra momenti di disgusto, pena, suspence, e un plot twist degno del suo nome.

Seppur la trama a prima vista sembri semplice e molto lineare, la vicenda attraversa un ampio spettro di temi, che Park Chan-wook nasconde abilmente tra i dettagli: valore del tempo, perdita d’identità, metamorfosi, disperazione, follia, incesto, vergogna. Tutti sono causa e conseguenza di un unico fattore comune: il desiderio di vendicarsi. Prima di farsi travolgere dallo spettacolo viscerale di Oldboy, ci si dovrebbe porre due domande: come ci si sentirebbe a trascorrere 15 anni rinchiusi in una stanza? E soprattutto, ci si riuscirebbe senza sapere neanche il perché?


Una vendetta a cottura lenta

Partendo da Old Boy, l’omonimo manga di Garon Tsuchiya e Nobuaki Minegishi, Park Chan-wook dà vita a un'opera che ne mantiene solo lo scheletro, sfociando poi in un più che libero adattamento.

Oldboy, uscito in Corea del Sud nel 2003 e arrivato in Italia nel 2005 (ridistribuito poi da Lucky Red nel 2021, in versione restaurata in 4K), è il secondo capitolo di quella conosciuta come Trilogia della vendetta, insieme a Mr. Vendetta (2002) e Lady Vendetta (2005). Tre opere che il regista ha voluto dedicare all'indagine di una reazione umana tanto insensata quanto – a volte – inevitabile: la vendetta.


Isolamento e liberazione

Il protagonista è un formidabile Choi Min-sik nei panni di Oh Dae-su, un uomo comune, padre di famiglia con un problema con l’alcol e dedito alle donne. Il giorno del quarto compleanno della figlia, dopo essere stato fermato dalla polizia e rilasciato grazie all’intervento di un amico, scompare, lasciando alla figlia la promessa di tornare a casa presto per darle il suo regalo.

Però Dae-su non tornerà, resterà chiuso per quindici anni in una stanza, in completo isolamento, e soprattutto senza sapere il motivo della sua prigionia.

Vive un loop infinito di giorni identici, tra tentativi di suicidio e piani per fuggire, annotando su un diario ogni cattiva azione commessa, alla continua ed esasperata ricerca della ragione dietro a tutto ciò.

Incide sul suo corpo ogni anno che passa, e poco prima di segnare il quindicesimo viene sedato, ipnotizzato, rinchiuso in un baule e liberato. Da lì in poi, si assiste al suo piano di vendetta.


Dae-su e Mi-do, incontro calcolato

Il prologo è necessario a noi spettatori per capire perché Dae-su è diventato così, cosa ha subito e soprattutto in che stato si trova quando viene reintrodotto nella società, che alla fine, come dice lui stesso, si rivela essere “solo una prigione più grande”.

Dae-su che mangia il polpo vivo
Oldboy - Dae-su che mangia un polpo vivo

Dae-su ha bisogno di conferme, di rendersi conto che è effettivamente libero e che può sentirsi di nuovo vivo, così come il polpo che mangia. Conosce Mi-do (Kang Hye-jeong), ragazza giovane, molto disponibile ad aiutarlo, con cui poi stabilisce una forte relazione amorosa. La conosce, ma non è la prima volta che la incontra: come rivelerà poi Lee Woo-jin (Yoo Ji-tae), il rapitore di Dae-su, Mi-do non è altro che sua figlia.

Dae-su da ragazzo aveva commesso un errore di cui non si era reso conto, ma che ha portato Woo-jin a dedicare la sua intera esistenza ad architettare la vendetta perfetta, per ripagare Dae-su con la stessa moneta.


Incesto come vendetta


Per colpa della tua lingua, mia sorella è rimasta incinta


Il motivo per cui Dae-su non riesce a capire la sua punizione è perché semplicemente non è consapevole del peccato che ha commesso, se ne è dimenticato. Perché era qualcosa che non lo riguardava. Aveva parlato senza pensare alle conseguenze, senza tener conto del fatto che una ragazza sarebbe potuta arrivare al suicidio piuttosto che rimanere vittima della vergogna e del giudizio della gente.

Woo-jin e la sorella avevano una relazione, motivo per cui Dae-su e Mi-do vengono spinti, ad incontrarsi, innamorarsi ed avere a loro volta una relazione incestuosa. Nel momento in cui Dae-su prende coscienza di cosa è accaduto, si assiste al ritorno di uno spirito paterno che aveva dimenticato di avere, ma che riemerge nel momento in cui si palesa la possibilità che Mi-do possa scoprire tutto. Ed è qui che avviene anche il suo pentimento: è mortificato per ciò che ha fatto, si riduce a un stato di supplica esasperata che lo porta a tagliarsi la lingua, mettendo in atto un contrappasso perfetto per i suoi peccati.

Facce della stessa medaglia, facce della stessa società

Dae-su e Woo-jin sono vittima e carnefice l’uno dell’altro. Accomunati dalla vergogna dell’incesto e dal desiderio di vendetta, portano avanti i loro piani su binari paralleli, ma su piani completamente opposti da un punto di vista sociale. Woo-jin è ricco, incarna l’élite, uno strapotere che è presente nella società sudcoreana e che Park Chan-wook vuole denunciare, mostrando come corruzione e indifferenza possano manipolare facilmente i soggetti più deboli e meno abbienti. Sia un granello di sabbia che una roccia nell’acqua affondano allo stesso modo

Split Screen - Dae-su e Woo-jin a confronto
Split Screen - Dae-su e Woo-jin a confronto

Allora perché un granello di sabbia e un sasso affondano allo stesso modo?

Perché alla fine, poco importa che si provenga da una condizione agiata o disagiata. Sia Dae-su che Woo-jin conducono tutta la loro intera esistenza guidati da un desiderio di vendetta implacabile e spietato, che non permette loro di avere altri scopi.

Ma una volta ottenuta la vendetta, non rimane nulla. Per questo Woo-jin si suicida, mentre Dae-su si fa ipnotizzare, per tentare di dimenticare quella parte di sé di cui si vergogna, la parte pietosa, il suo mostro interiore.

2003 anno della vendetta: Oldboy e Kill Bill

Il 2003 potrebbe essere considerato l’anno della vendetta, perché insieme alla Corea anche Hollywood ha dato vita a un altro celebre cult: Kill Bill di Quentin Tarantino. All’edizione del Festival di Cannes dell'anno successivo il presidente della giuria era proprio il regista americano, lieto di conferire il Grand Prix Speciale della Giuria a Park Chan-wook, definendo la sua opera “il film che avrei voluto fare”.

In effetti, i protagonisti delle due opere, Dae-su e Beatrix Kiddo (Uma Thurman) sembrano mossi da un intento comune, appunto il desiderio di vendicarsi, ma i percorsi che prendono e soprattutto i destini che hanno sono poi diametralmente opposti.


Due scontri a confronto

Basti pensare allo scontro con i Crazy 88 di Beatrix e lo scontro che Dae-su ha nel corridoio. Beatrix è un’assassina professionista, che porta avanti il suo percorso vendicativo collezionando successi. Quando si ritrova ad affrontare i Crazy 88,si assiste allo scontro col sorriso, si gioisce con lei.

Dae-su conosce un'ascesa, ma momentanea ed instabile. Durante il famoso scontro nel corridoio inciampa, cade, si rialza. Un combattimento metafora anche della sua stessa persona: da eroe passa ad essere distrutto dalla sua stessa vendetta.

Anche se più “mostruoso” e difficile da accettare da un punto di vista morale, allo stesso tempo in qualche modo è come se si umanizzasse. È un uomo comune che ha tentato di avere giustizia, e non è riuscito completamente nell’impresa.


Il finale: sorriso o smorfia?


Sebbene io sappia di essere peggio di una bestia, non crede che abbia anch’io il diritto di vivere?

Il finale di Oldboy è tanto emblematico quanto enigmatico. Dae-su si è sottoposto all’ipnosi per dimenticare una parte di sé, quella che conosce la verità. Spinto da un istinto di protezione verso la figlia, finisce col vivere coabitato da due personalità: il mostro, quello consapevole di tutto, e la parte rinata. Non è dato modo di sapere se il nuovo Dae-su sia consapevole dell’altra parte di sé, ma una risposta possiamo trovarla nelle sue espressioni.

Ridi e il mondo riderà con te, piangi e piangerai da solo.

Il suo sorriso torna ancora una volta a contorcersi.

Forse il senso di tutto è racchiuso in uno dei mantra, fondamentali, che vengono ripetuti sin dall’inizio. Se ridi, il mondo riderà con te, se piangi, piangerai da solo. Ancora una volta, il sorriso di Dae-su si trasforma in una smorfia che nasconde un pianto. Non si sa se sia una contrazione consapevole, per reprimere il suo mostro interiore, o involontaria, come se a saperlo fossero solo i suoi muscoli.




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