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Immagine del redattoreMarcello

Parasite: una Palma d’oro meritata

Il fortunato ritrovamento di una bozza anonima per libretto d’opera di fine ‘700, ha permesso a Bong Joon-ho di elaborare il soggetto, e poi la sceneggiatura insieme a Han Ji-won, del suo nuovo film : Servitù e Padroni.

E’ una delle tante suggestioni di Parasite, il film premiato con la Palma d’Oro a Cannes. Una, ma forse la più intensa; tanto intensa da spingerci a continuare.

Il libretto proponeva la struttura classica in tre atti, con le annotazioni per l’autore della musica ( Mozart ? chissà…)

ATTO 1 – Adagio poi Allegretto infine Vivace

La famiglia Ki-taek moglie marito e due figli ventenni, vive in uno scantinato, in perenne stato di indigenza. Un giorno, il figlio maschio riceve una raccomandazione per entrare nella famiglia Park quale insegnante di inglese. Approfittando del carattere semplice della padrona di casa, e delle lunghe assenze del marito, tutti i componenti della famiglia Ki-taek occuperanno i ruoli chiave della servitù, facendo cacciare i precedenti impiegati.

ATTO 2 – Lentissimo poi Largo infine Grave

Quando finalmente i problemi economici sembrano risolti, la vecchia governante cacciata si ripresenta, in assenza dei padroni. E svelerà un segreto della casa che in breve farà precipitare gli eventi.

ATTO 3 Allegretto poi Presto infine Grave

L’anticipato rientro in casa dei Padroni sarà l’ultimo passo verso un finale sorprendente e inaspettato.

Parasite è un’opera fuori dagli schemi, impossibile da definire; sorprende continuamente lo spettatore, lo spiazza, lo colpisce quando meno se lo aspetta. Il primo livello di comunicazione è visivo, lo sguardo del regista che ha scelto due soli ambienti per raccontare la sua storia: il fondo malsano, dove la camera segue nervosamente i protagonisti che si arrangiano piegando scatole da pizza; e la grande villa progettata dall’archistar, dove dominano le inquadrature fisse, a mostrare i componenti della famiglia Park che si muovono leggeri nei grandi spazi armoniosi. Tutto questo per raccontare della società coreana, e non solo, così rigidamente divisa in un piccolo numero di ricchi ed una grande massa di poveri e diseredati. Che non hanno speranza, innanzitutto antropologicamente: sono i primi ad essere coscienti della loro condizione di insetti. I primi a onorare il ricco padrone che li sfrutta. I primi ad azzannarsi tra loro per avere diritto agli avanzi.

E i ricchi, fin da bambini, li riconoscono dall’odore; anzi dalla puzza, che nessun sapone potrà mai portare via. Perché viene dall’ambiente stesso in cui vivono, dal loro ceto sociale. La speranza è solo avere un piano, un progetto in cui credere, al di là della reale possibilità di riuscita. Un sogno di cui nutrirsi per negare una realtà inaccettabile.

Siamo tutti con loro, dall’inizio alla fine. Ma sappiamo che perderanno. Strepitoso.

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