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Triple Frontier: un film firmato Netflix che vi lascerà delusi. Ecco perchè

Di Fabio Tramontin

Devo dire che ho visto Triple Frontier su Netflix incuriosito dalla grande campagna di comunicazione messa su dal colosso di distribuzione on line. Non tanto e non solo per l’advertising classico e massiccio sui giornali, sulla rete e con i manifesti in strada; quanto per la decisione di arrivare così a fondo del marketing locale.

Locale non nel senso dell’Italia, quanto di quartieri di una media città come Bologna. Ho visto opuscoli con programmi di appuntamenti culturali di quartiere sponsorizzati con il marchio del film, e francamente è la prima volta. Mi sono chiesto se dietro tutta questa pubblicità non ci fosse un prodotto debole, che necessitava di una spinta fuori dal comune. E l’impressione finale, è che sia andata proprio così.

SUGGERIMENTO: Se avete Netflix (non vi abbonate per questo) e una sera non sapete cosa fare

SCENA CHE MI HA COLPITO: All’inizio, il discorso di uno dei magnifici 5 alle reclute dei corpi speciali: mi ha fatto capire subito cosa mi aspettava.

Triple Frontier è un action movie ambientato per l’ennesima volta nel mondo dei narcotrafficanti. Un gruppo di amici, tutti ex operatori sul campo di corpi speciali, servizi segreti , ecc.. viene reclutato dall’unico di loro rimasto in azione. Che li convince inizialmente con la promessa di un tranquillo incarico di consulenza e di sostegno alle forze governative. E poi, una volta sul posto, rivela di aver in mente il colpo della vita: portare via gran parte del patrimonio del trafficante Lorea, barricato con il suo tesoro in una villa nel cuore della giungla.

Insomma, l’ennesimo film di un filone che sembra non esaurirsi mai, ma con un taglio un po’ diverso: per una volta non si concentra tanto sulla lotta tra Narcos e forze della giustizia, quanto sulla fuga una volta avvenuto il colpo.

Che di per sé si rivela sorprendentemente semplice, considerando l’entità del patrimonio nascosto. Così come il reclutamento era stato una sorta di Ocean’s Eleven (stavolta sono cinque): un gruppo di figaccioni ridotti ad una vita anonima, che non vedono l’ora di ricominciare a menar le mani.

Solo uno di loro (Ben Affleck), ex stratega della CIA costretto alla pensione dall’agenzia, e che ormai vende appartamenti per vivere, sarà pieno di dubbi. Ma alla fine non resisterà al richiamo della giungla.

Il cinema di Chandor è denso dei suoi temi preferiti: l’amicizia al di sopra di tutto, il denaro come peso insostenibile (in senso letterale), il lavoro di squadra che premia sempre. E anche quando le cose andranno male, il gruppo troverà una soluzione per rimanere vivo. E per lasciare spazio, con un piccolo colpo di scena finale, ad un possibile sequel.Non mancano ovviamente scene di scontri spettacolari, razzi RPG che volano, elicotteri che cadono, jeep che si ribaltano.

Ma abbiamo già visto tutto.Compreso un gruppo di attori stereotipati, con l’eccezione di Ben Affleck; che però, una parte così, la porta avanti nel tempo libero.

Il fatto che Kathryn Bigelow risulti tra gli accrediti quale Produttore Esecutivo, lascia ipotizzare che forse la produzione abbia pensato di affidare a lei la regia. E ripensando ai suoi film di azione (Point Break, The Hurt Locker, Zero Dark Thirty) le cose sarebbero andate sicuramente meglio.

Di film e serie così, ce ne sono tanti, specie su Netflix. Troppi.

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